Museo di scienze naturali

Museo di scienze naturali

Indirizzo: Via Antonio Federico Ozanam 4 – Brescia (BS)

Tipologia: architettura per la residenza, il terziario e i servizi; museo

Autori:

  • progetto: Graziano Piovanelli; Mario Serino 

Cronologia:

  • progettazione: 1974
  • completamento: 1976
  • data di riferimento: 1974

Motivazioni

Oggetto, nel tempo, di interventi non sempre allineati con l’idea progettuale originaria, il museo si caratterizza per l’interessante impianto distributivo e museografico, organizzato in una successione ascendente di livelli che si riflette anche nella composizione degli alzati.

Un cammino tortuoso e accidentato

L’archivio storico del “Giornale di Brescia” permette di ricostruire, seppure per tasselli, l’iter oltremodo sofferto che ha condotto il Museo di Scienze naturali nell’attuale sede di via Ozanam.

Con la convenzione siglata nel settembre ‘49 tra l’Ateneo bresciano e il Comune si sancì la cessione a quest’ultimo della proprietà dei materiali del Museo “Giuseppe Ragazzoni”, “alla condizione che il Comune stesso istituisca il Museo civico di Storia naturale riconoscendolo come un’istituzione di pubblica utilità e decoro”.

Il Museo Ragazzoni era l’esito del lavoro di collezione, ordinamento e catalogazione di reperti naturali rinvenuti nella provincia da parte di generazioni di appassionati e studiosi. Tali materiali, sin dagli inizi del Novecento, già erano stati oggetto di alcuni allestimenti che, per quanto segnati da una costante condizione di precarietà, erano stati talvolta capaci di richiamare una discreta affluenza di pubblico. La guerra impose una fase di stagnazione, dove, per proteggerli, i materiali furono riposti in casse e stoccati in deposito.

Nel ‘49, a seguito della suddetta convenzione, le collezioni presero la via del Castello, ove, negli spazi del Mastio, trovarono nuova collocazione, iniziando a essere riordinate sotto la supervisione del professor Emanuele Süss. Ma proprio quando il museo sembrava assumere una fisionomia definita, articolata anche negli spazi laboratoriali e della biblioteca, venne sfrattato dal Mastio per lasciare posto al Museo delle armi “Luigi Marzoli” che, dato il tema guerresco, sembrava il più appropriato a tale sede. Così, nel 1968, le collezioni tornarono nelle casse e furono stivate nel chiostro del Monastero di Santa Giulia. Qui, nel settembre 1973, il cronista del “Giornale di Brescia” riferisce di una visita surreale. Il “museo quasi fantasma” si componeva dei locali dove, sotto un tetto pericolante, erano custodite le casse, una scaletta conduceva a un chiostro, invaso da una abbondante vegetazione che l’allora assistente preparatore Franco Blesio aveva fatto crescere per crearvi un rettilario, e di lì alla biblioteca ricca di settemila volumi e a due stanze adibite a laboratorio. Si trattava di una enclave poco nota e poco visibile al pubblico, ma frequentata da ben cinquemila studiosi all’anno; a questi andavano poi aggiunti i membri di un gruppo di naturalisti locali animatori della rivista “Natura bresciana”, allora giunta alla nona uscita.

Intanto il Comune, forte di un fondo di oltre cento milioni ricavato dalla vendita del mercato coperto, individuava un sito atto alla costruzione della nuova sede del museo, a oriente di Santa Giulia. Un saggio di scavo per le opere di fondazione fece affiorare però i resti di una abitazione romana con importanti mosaici e naufragare i piani dell’amministrazione. Incalzato dal giornalista, l’assessore alla pubblica istruzione Mario Cattaneo, annunciava nell’aprile del ‘70 la nuova collocazione in via Crocefissa di Rosa aggiungendo che il progetto stava per essere ultimato sul piano tecnico. Questo era stato affidato internamente agli uffici comunali all’architetto Graziano Piovanelli e al professor Marco Serino.

Tuttavia, dopo ben cinque tentativi andati deserti, il primo lotto di lavori, consistente nella torre di ingresso e in una prima ala espositiva, veniva appaltato soltanto nel ‘74, quando i costi di costruzione erano lievitati al punto che la previsione di spesa era di centocinquanta milioni per le opere murarie e di altri cento per gli impianti.

Gli interventi sul “Giornale” di un Blesio ora divenuto direttore e sempre più esasperato documentano la difficoltà a reperire i fondi per l’acquisto delle vetrine e degli altri arredi espositivi che rallentò ulteriormente l’entrata in funzione della struttura, peraltro limitata dalla realizzazione per lotti del progetto che costrinse a lungo parte della collezione nei magazzini sotterranei.

In retrospettiva, viene da chiedersi quanto i progettisti siano stati condizionati da questo clima di permanente incertezza; a che punto questo abbia influito sulla strategia aperta di un disegno pensato per potere essere realizzato anche per fasi che ha poi saputo integrare con relativa coerenza l’auditorium costruito anni più tardi su progetto dell’architetto comunale Salvatore Battaglia.

Ma allo stesso tempo non si può non osservare come il progetto, forse mai davvero compreso, sia stato assai meno resiliente ai successivi interventi che ne hanno in parte contraddetto l’organizzazione e i principi, così come alle ragioni burocratiche che ne determinano oggi un uso soltanto parziale.

 

 

Geometrie spezzate

La struttura, oggi utilizzata solo in una sua piccola parte, rappresenta un esempio unico di museo di scienze naturali costruito ex novo in Italia nel secondo ‘900. Il complesso è stato pensato per ospitare percorsi didattico-espositivi con una lettura a carattere scientifico dei fenomeni naturali e un’attenzione alle specificità locali. Tale narrazione si inseriva nella particolare organizzazione spaziale dell’edificio, articolandosi lungo un percorso ascensionale dal basso verso l’alto. L’area espositiva, localizzata in due delle tre ali situate attorno al nucleo principale dell’atrio, è definita infatti come un “gioco geometrico” generato da un susseguirsi di livelli sfalsati e indipendenti, aperti gli uni sugli altri e collegati tra loro in modo continuo da brevi rampe di gradini. L’articolazione dei percorsi è determinante nelle scelte progettuali che l’architetto Graziano Piovanelli riconduce ad una reinterpretazione del percorso a spirale del Museo Guggenheim di Frank Lloyd Wright a New York. Dallo spazio dell’atrio al piano terra, perimetrato da quattro grandi pilastri cruciformi, il visitatore accedeva al percorso museale dell’ala nord-est, proseguendo sino all’ultimo piano della torre sovrastante, destinato originariamente a biblioteca, per ridiscendere poi attraverso l’ala sud-ovest sino all’atrio. La struttura in cemento armato di queste due ali è caratterizzata da un susseguirsi di solai sfalsati. Questo gioco di dislivelli viene mantenuto anche nella terza ala a sud-est, utilizzata per uffici e laboratori, dove gli ambienti si articolano sui vari piani intorno ad un corpo scala centrale.

Le diverse quote degli spazi determinano anche il disegno della facciata esterna che dà verso il parco, dove le aperture sono definite da una composizione di finestre a nastro, unite tra loro da grandi finestre quadrate e raccordate in lunghezza da cornicioni “a zig-zag” che seguono il percorso dei solai. Originariamente, in linea con la vocazione scientifico-pedagogica del museo, erano stati ideati una serie di giardini pensili da realizzare a diversi livelli, a coronamento delle tre ali. Queste aree verdi sospese erano destinate ad orti didattici integrati visivamente alle specie arboree del parco circostante. Oggi i giardini pensili, presenti solo nell’ala nord-est, sono riconoscibili per la ricca vegetazione che si intravede osservando dall’esterno, tra le geometrie spezzate, la copertura del complesso, e rappresentano uno degli elementi caratterizzanti dell’intero intervento.

 

 

Cemento e pietra

L’uso del cemento a vista per l’intera struttura rappresenta una scelta ben precisa degli autori e si rifà alla tradizione dell’architettura in “tutto cemento” del brutalismo, assai diffusa tra gli anni ’50 e ‘70 in Europa, e non solo, utilizzata frequentemente anche in Italia al tempo in cui venne progettato il Museo di Scienze naturali. L’architetto Piovanelli, uno degli autori del progetto, spiega infatti di avere impiegato il materiale che si usava “allora”: una scelta che poi ha anche contribuito a mantenere nel tempo l’aspetto solido, e insieme articolato su geometrie spezzate, dell’edificio.

Il cemento, plasmato all’esterno con una tessitura rigata che segna solai e coperture nella loro lunghezza, esalta le volumetrie che culminano con il coronamento aggettante della torre centrale. Completano poi questo sistema i parapetti e le cornici delle finestrature, definiti nel dettaglio da doccioni e gocciolatoi, e rivestiti da listoni di pietra di marmo Botticino nei davanzali e nei gradini e nelle zoccolature lungo i percorsi che portano alle terrazze a sbalzo dei giardini.

Questo dialogo tra pietra e superficie cementizia è riproposto parzialmente anche all’interno. I quattro pilastri cruciformi dell’atrio d’ingresso, oggi in parte nascosti da tramezzature aggiunte posteriormente, sono ad esempio inseriti in una pavimentazione in marmo colorato a mosaico, caratterizzata da inserzioni di motivi geometrici. Le scale della zona espositiva, anch’esse rivestite di pietra Botticino, insieme ai parapetti segnano l’articolazione del percorso su dislivelli. Un procedimento simile viene applicato anche alle scale dell’ala dei laboratori e degli uffici, i cui gradini sono scanditi da lastre di pietra appoggiate sulla struttura in cemento. Questa cura del dettaglio, che sfrutta la materialità del cemento, duttile e irregolare nella tessitura, associata alla finezza del taglio della pietra, arricchisce notevolmente l’architettura. Per l’osservatore che scruta con occhio attento i volumi, le superfici e le geometrie spezzate l’edificio, questo dialogo tra i materiali diventa una continua scoperta.

Realizzato per fasi nel corso degli anni Settanta su progetto di Graziano Piovanelli con Mario Serino, il museo di Scienze naturali di Brescia giunge in via Ozanam al termine di un percorso travagliato.

Il complesso si distingue per l’originalità dell’impianto e del concetto espositivo che, articolato su livelli sfalsati, si riflette nelle geometrie spezzate degli alzati. La scelta dei materiali, l’alternanza di muratura intonacata, calcestruzzo a vista e parti vetrate, ma anche gli accostamenti inattesi di cemento e marmo, costituiscono un ulteriore elemento di interesse.

Il museo si compone di una torre che funge da snodo distributivo dalla quale si dipartono tre ali, due delle quali definiscono una corte. Verso la fine degli anni Ottanta è stata aggiunta una sala gradonata con una capienza di più di 200 posti progettata da Salvatore Battaglia.